La mente dell’uomo studiata dagli psicologi
assomiglia di più a quella del nostro antenato, il cacciatore-raccoglitore, che
non a quella auspicata dagli economisti. I modi di ragionamento sub-ottimali,
ma di rapida esecuzione, hanno fatto perire molti individui ma il loro
sacrificio ha fatto sopravvivere la specie. Come il suo antenato, quindi, il
risparmiatore-investitore odierno sceglie anche in mancanza di informazioni
complete e, se non sceglie, sceglie lo stesso. Purtroppo la fonte di
informazioni per una scelta saggia non è più la sua esperienza passata o quella
dei pochi amici e parenti della sua tribù. E’ consapevole della limitatezza
della sua esperienza e perciò va da un esperto che sa dare i consigli giusti.
Trova così un consulente bancario e vi si affida con lo stesso entusiasmo del
suo antenato. Purtroppo l’entusiasmo è accompagnato, proprio come nel caso del
suo antenato, da una medesima cecità nel diagnosticare la competenza del
presunto esperto, auspice o consulente che sia, a cui si è rivolto. Il risparmiatore-investitore
finirà così per decidere con gli stessi strumenti mentali del quasi-contadino,
perché da più di dieci millenni la mente umana non è cambiata. I tempi del
cambiamento e dell’adattamento a nuovi scenari sono una questione cruciale per
la disciplina della finanza comportamentale e anche il profilo del rischio è
parzialmente vincolato dalla natura della mente umana. Non dipende tanto dalla
cultura in cui siamo immersi ma dalla nostra storia naturale (che agisce su
tempi lunghissimi), anche se ciò non toglie che esistano culture e ambienti che
ci abituano a rischiare e che ci siano persone pronte ad assumersi rischi anche
a fronte di vantaggi incerti. Alla percezione del rischio di una persona, in
definitiva, concorrono tre tipi di fattori; la mente, la cultura e la
personalità. In altri casi l’influenza dei fattori culturali è massiccia, quasi
esclusiva. (Studio di Paolo Legrenzi da “Psicologia e investimenti”, a cura di
Andrea Gennai, Il Sole 24 Ore).
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