venerdì 8 giugno 2012

Siamo sotto l’attacco da parte dell’industria della paura


"La nostra libertà potenzialmente sempre più estesa per merito della tecnologia, sarà progressivamente ristretta, perché avremo dato spazio a quelli che vogliono insegnarci come vivere. Persone che vogliono decidere della nostra salute, dei nostri comportamenti, entrando nella nostra più profonda intimità.
Dobbiamo rappresentarci - in sintonia con il cambiamento epocale in corso - con nuovi valori che siano i driver di un nuovo modo di vedere e di essere, insomma di un nuovo mondo. Siamo sotto l’attacco da parte dell’industria della paura.... Se dovessi proporre un nuovo corso di formazione lo proporrei sul CORAGGIO: ecco tutto quello che ci serve!". g. mascitelli


giovedì 24 maggio 2012

La rivoluzione epocale dei social media in ambito aziendale


Ecco cosa pensa Domenico De Masi, docente di sociologia del lavoro all'Università La Sapienza di Roma: “la cultura tramite i social media è diventata una questione di molti per molti. Sul piano aziendale, oggi il perimetro di un'impresa coincide con l'intero pianeta, le pareti di ogni ufficio sono diventate trasparenti e porose e il mercato entra nell'azienda senza che i manager debbano uscire per cercarlo. E questa è una rivoluzione epocale”.

venerdì 4 maggio 2012

La nuova comunicazione è ‘Experience’


Alla 'Milan International Design Week', durante il Fuori Salone di Milano, ho curato l’ideazione e la realizzazione dell’evento Underground Gessi Experience per l’azienda Gessi. Underground Gessi Experience è stato lo Story Telling di un ‘ritrovamento’ attraverso un percorso a 5 sensi, con un'installazione nei cantieri dello Spazio Gessi di Milano, a 20 metri di profondità. Sono partito da questo concetto: siamo sotto attacco da parte dell’industria della paura. La nostra libertà potenzialmente sempre più estesa per merito della tecnologia, sarà progressivamente limitata, perché avremo dato spazio a quelli che vogliono insegnarci come vivere. Le radici di questo progetto sono partite perciò dal desiderio di riconnettersi al flusso vitale dell'esistenza, dalla gioia creativa e da una specie di reload estatico nei confronti della parte profonda dell'essere. Le persone vogliono, desiderano nuovi prodotti, nuovi servizi ma soprattutto nuovi approcci e valori. Vogliono emozioni da condividere, non essere carne d'acquisto! A ciò si è unito il concetto di ‘Perdere la strada per poi ritrovarsi’, che affonda in profondità nella mia visione dell'atto creativo: per essere veramente creativi, il processo da attivare interiormente è doloroso ma alla fine l'idea (e la sua realizzazione) contengono l'energia e la forza che smuovono cuore e business. L’azienda ha poi avuto l'idea geniale di aver guardato dove gli altri di solito non guardano, cioè sottoterra; Gessi si è ricavata uno spazio sotterraneo nella città più importante del mondo per quanto riguarda la moda e il design, in un momento in cui tutti guardano verso l'alto... L'epoca dei palazzi fallocratici che si ergono in maniera aggressiva e arrogante è finita, l'11 settembre è stata una lezione fortissima che l'Occidente non ha capito fino in fondo... E' ora di tornare alle cose concrete, a ciò che per l'antropologia è la terra madre: bisogna riconquistare l'essenza profonda delle cose. La comunicazione è morta, ora è 'experience'! C'era infatti qualcosa di importante, come un'energia nuova che non potevamo non raccontare, di cui questo Paese ha disperatamente bisogno. Per questo, nel riscrivere lo story telling, ho creato un vero percorso emozionale che si è avvalso di una rappresentazione scenica paragonabile ad un set cinematografico. Con Filmare GroUP, l’Hub di comunicazione esperienziale che ho fondato, abbiamo sovvertito tutti i parametri della 'Milan International Design Week' ormai appiattiti su codici e relazioni standard, creando una narrazione a 5 sensi; il ritrovamento, concetto focale del progetto, ha rispecchiato i concept dell’azienda Gessi: una specie di 'bozzolo', composto da alta tecnologia e visione del benessere in contatto con la psiche profonda, tanto da poter essere definito un 'propulsore di nuova umanità' che ho voluto far rivivere in questa istallazione. g. mascitelli

mercoledì 21 marzo 2012

L’antropologia e la ‘sfuggente complessità del mondo occidentale’


Cito da un’intervista dell’antropologo francese Marc Augé apparsa su Repubblica il 27 luglio 2011: “nell'antropologia c’è sempre una dimensione critica, giacché essa c'insegna che tutto è cultura. Anche ciò che ci appare come naturale, in realtà, è sempre una costruzione culturale, quindi variabile a seconda dei contesti, delle epoche e delle tradizioni. Questo modo di pensare è evidentemente sovversivo rispetto all’ordine costituito, qualunque esso sia, dato che nega l’esistenza delle verità assolute. L’antropologo si trova sempre in un luogo particolare della grande battaglia planetaria, di conseguenza non riesce mai ad avere una visione d'insieme. Questo per dire quanto sia difficile la conoscenza del mondo contemporaneo e quanto occorra essere umili di fronte a una realtà globale in continuo movimento che disconnette lo spazio dal tempo, alterando la nostra percezione delle cose… Le nuove tecnologie possono modificare per davvero le relazioni tra le persone. Si pensi alle relazioni virtuali, ai social network e alle molte possibilità di comunicazione offerte dalla rete. Bisogna però stare attenti a non creare nuove mitologie, come si è fatto di recente con le rivoluzioni nei Paesi arabi, il cui successo è stato da molti attribuito alla forza della Rete… Anche l' universo delle nuove tecnologie avrebbe quindi bisogno di un’antropologia critica”.

venerdì 24 febbraio 2012

L’etnografia nei luoghi virtuali, metafora della produzione di conoscenza antropologica

Può apparire insensato parlare di luoghi virtuali e cyberspazi in una prospettiva etnografica ma il ‘terreno’ antroplogico è il luogo naturale in cui si effettua lo studio delle culture: “il terreno è, per definizione, un luogo dove l’antropologo svolge il suo mestiere di osservare e comprendere i comportamenti, le rappresentazioni e i saperi degli ‘altri’, dove cioè fa ‘etnologia’ o ‘etnografia’, in quanto studio concreto di contesti di culture” sostiene l’antropologo Mariano Pavanello. Il terreno, secondo lui, è da ritenersi sia il luogo reale dove l’antropologo va per effettuare la pratica etnologica, sia una metafora della ricerca antropologica in quanto esso è insieme “il viaggio, il luogo dove si conduce la ricerca e la ricerca etnografica stessa”. Proprio perché il terreno è sia un luogo fisico, sia un concetto, esso può non essere necessariamente un luogo reale e lontano così come tradizionalmente avveniva in passato nella ricerca antropologica: “un tempo il terreno era un altrove necessariamente esotico, selvaggio, lontano culturalmente e spesso anche geograficamente, dal consueto mondo civile” continua l’antropologo. Se il terreno antropologico, come afferma Pavanello, si considera come una metafora della ricerca antropologica, allora si può affermare che nel terreno l’antropologo attua un’esperienza personale in un altrove che in certi casi non ha bisogno del viaggio fisico. Esso può quindi essere un luogo virtuale come Internet, facilmente raggiungibile anche da casa ma che è allo stesso tempo veicolo di alterità del tempo e dello spazio, “un luogo ‘altro’ dove è possibile avere esperienza dell’alterità, un ‘altrove’ non necessariamente lontano ma comunque separato rispetto alla dimensione della propria vita quotidiana; un luogo magari solo virtuale, come la ‘rete’, in cui si può ‘navigare’ stando a casa. Il terreno in quanto luogo reale, dunque, può venire meno e rimanere oggi soltanto metafora, diversamente dal passato dove tale metafora si sovrapponeva al luogo esotico. La globalizzazione delle comunicazioni, oltre che dei trasporti, ha oggi reso le culture e i luoghi geografici più vicini ed è venuta meno la necessità del viaggio reale. “Il terreno come luogo virtuale è ancora di più metafora della produzione di conoscenza antropologica” sostiene Pavanello. Il vero oggetto di studio è dunque il dialogo, una negoziazione di significato, che si viene ad instaurare con i soggetti che fanno parte della cultura da studiare, mentre un luogo virtuale rimane solo un contesto per attuare l’incontro con gli utenti. Da tale incontro scaturisce l’etnografia, la produzione di significato che Pavanello chiama “incontro etnografico”.

sabato 11 febbraio 2012

La delocalizzazione delle culture nell’era di Internet e dei social networks

L’antropologo John Postill fa una riflessione interessante sull’antropologia dei media nell’era del web 2.0; ecco la sua tesi: l’avvento di Internet ha spostato l’attenzione delle scienze sociali verso il web come cyberspazio. Così come nota Pio E. Ricci Bitti, Internet ha portato alla nascita di un nuovo ambito di studi nelle scienze sociali, volto a studiare Internet dapprima come spazio sociale autonomo, poi considerando gli utenti reali come parte attiva della rete. L’interesse nei confronti di Internet, da parte dell’antropologia, è dovuto principalmente al fatto che esso è considerato, attraverso i cyberspazi, un veicolo di diffusione di ‘culture transnazionali’ nonché fonte di ‘delocalizzazione’ di esse (secondo Ugo Fabietti, Roberto Malighetti e Vincenzo Matera). La chat è l’evoluzione della posta elettronica che evolve la comunicazione da asincrona a sincrona, mentre il blog si può considerare il primo esempio di personal media mediante il quale l’utente si appropria di uno spazio sul web diventando così anche produttore di informazioni. Tutte queste forme di comunicazione in rete sono riunite in un unico ambiente multimediale che ne costituisce l’evoluzione attuale e che prende il nome di social network. Questo consiste in servizi web che consentono di mettere in contatto persone distanti geograficamente, che si aggregano in gruppi online al fine di condividere interessi comuni o di instaurare o rafforzare legami sociali. Essi non sono tanto diversi dalle reti sociali fisiche, a parte per il fatto che si muovono in rete e sono accessibili da qualsiasi parte del mondo, concorrendo di fatto al processo di delocalizzazione delle culture del mondo reale.