Riprendendo il post precedente La televisione come profezia, la pubblicità veniva definita fondamentale per il mezzo televisivo e capace di creare con quest’ultimo un legame indissolubile: “la televisione è il medium della pubblicità. La pubblicità è il prezzo della televisione. La pubblicità è l’unico messaggio della televisione. La televisione senza pubblicità è un medium morto… La pubblicità è fatta per la televisione, la televisione è fatta per la pubblicità”.
Ecco che, per chi si trova di fronte a questo mezzo polivalente, l’universo televisivo diviene iniziatico e rimane l’unico mezzo esistente perché il libro come medium è ormai finito, “rimane non il messaggio ma delle ‘informazioni’”. La televisione non possiede però solo un ruolo didascalico ma anche di intrattenimento: “l’universo televisivo è quello del tasso di ascolto, è l’esigenza del pubblico. Dal segreto si salta alla misura ossessionale dell’ascolto. Dall’insegnamento del maestro al gioco dell’animatore”.
La riflessione del gruppo di Jervis Comba si concludeva con un aneddoto sul Maestro Abû Alî Fârmadhî, che affermava: “sappi che la maggior parte delle cose delle quali i tuoi sensi sono testimoni, non sono che ‘rumori delle ali di Gabriele” e un ‘pretenzioso negatore’ ribatteva: “che senso si potrebbe imputare a simili affermazioni, se non che sono chiacchiere abbigliate di una falsa luce”. E’ forse questa la definizione più adatta della televisione?
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