The Geography of Thought, con l’atroce traduzione in ‘Il Tao e Aristotele’, è uno dei testi fondamentali di chi si interessa di etnologia e dello sviluppo del pensiero. Il libro di Richard Nisbett, uno dei più importanti e stimati psicologi cognitivi e sociali statunitensi, parla di logocentrismo occidentale, ovvero della tendenza tutta nostrana di universalizzare il modo di pensare che mediamente ci caratterizza, che presumiamo generale e valido in ogni cantone del mondo e che invece, a detta dell’autore, non è per nulla globale né globalizzabile: gli stili di pensiero, in altre parti del mondo – e Nisbett raffronta ricerche qualitative su americani e cinesi-coreani-giapponesi, anche trapiantati in Occidente (accomunati non a caso) - sono a tal punto diversi da quello occidentale che si potrebbe addirittura concludere che il mondo che noi europei e nordamericani vediamo sia completamente diverso da quello che vedono in altri punti del globo. I processi mentali degli orientali, per esempio, sembrano essere più coerenti e adatti ad un mondo sempre più complesso e interconnesso dove, accanto alle “azioni”, assumono sempre maggiore rilevanza le “retroazioni” sistemiche. Dieci anni fa la Cina non rientrava tra i Paesi a maggiore industrializzazione, oggi l’economia cinese è dietro solo all’economia americana. E ancora per poco.
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